L’ammiraglio e cartografo turco Piri Reìs, nel 1500, diceva della baia di Talamone: “un porto ove il vento spira sempre da terra”. Con ciò intendeva che da qualsiasi parte spirasse il vento,si aveva sempre un lato sotto costa ridossato.
Testo e foto di Roberto Pasqualin
È stato il porto di armamento della mia prima barca a vela ed è il luogo ove sempre il mio cuore resta quando sono lontano dalla mia terra adottiva. Scoprii Talamone agli inizi degli anni Settanta, quando da giovane specialista dell’Aeronautica Militare Italiana, di ritorno da una missione in Francia, sorvolai il piccolo golfo e il suo riparato porto; fu amore a prima vista, e solo due giorni dopo da quella scoperta vi trasferii il mio sloop Excalibur.
Oggi, il porto di Talamone, (coordinate del faro Lat. 42°33’06’’N Long. 011°08’06’’E), è un porto turistico di grande successo, che ospita circa 600 barche, un luogo ove lasciare la propria imbarcazione in sicurezza; un porto destinato a crescere ancora, nel rispetto dell’ambiente in cui è locato, ambiente ancora oggi di grande valore naturalistico e tutelato dal Parco Naturale della Maremma. La storia di Talamone, attuale, che è possibile ammirare sul colle sovrastante il porto, risale circa all’anno Mille: il primo castello lo edificarono gli Aldobrandeschi, ma molto più antica è la sua origine. Si sa con certezza che le sue acque furono frequentate da Etruschi, Greci, Romani e nel medioevo fu porto della repubblica di Siena; la mitologia ricorda la frequentazione del porto di Talamone da parte degli Argonauti, i quali, dopo la conquista del Vello D’oro, nel loro girovagare per il Mediterraneo, fecero sosta nella rada di Portoferraio, all’Isola d’Elba, e poi calarono le loro ancore nella sicura rada di Talamone, che chiamarono Telamòn.
La valenza come buon rifugio per i naviganti della baia è da ricercare nella particolare morfologia della costa e nella sua posizione geografica. L’ampia ansa naturale protegge i naviganti da tutti i venti; le sue acque, anche se poco profonde sotto costa, permettono l’ancoraggio sicuro al riparo dalla tramontana, dal maestrale, dal libeccio e dai venti provenienti da est, se si è ancorati in prossimità della Puntata, sotto la collina di Bengodi. Splendide mete sono facilmente raggiungibili da Talamone: in direzione sud, a circa 6 miglia, vi è il promontorio dell’Argentario; passato il quale e proseguendo verso sud-est vi è l’isola di Giannutri; navigando, invece da Talamone in direzione sud-ovest a 15 miglia sorge la splendida isola del Giglio.
Ma è sufficiente, appena superata la diga foranea, accostando a dritta con direzione 330°, navigare lungo la costa dei monti dell’Uccellina e godersi 5 miglia di mare incontaminato, costa prevalentemente rocciosa, intervallata da piccole calette e spiaggette ove sostare al riparo del maestrale; per giungere infine a Cala di Forno, meta prescelta da molti diportisti per una giornata di relax. Tutti luoghi ricchi di storia, di splendidi ancoraggi e bagnati da un incantevole mare. Sono tutte mete facilmente raggiungibili in poche ore di navigazione, e la sera, volendo, si può fare ritorno a Talamone.
Il porto etrusco di Talamonaccio nell’Antichità
L’attuale porto e relativo paese di Talamone sorgono all’estrema propaggine sud-orientale dei Monti dell’Uccellina e sono situati a ovest della omonima rada. Circa 1,5 miglia a est, la rada chiude con un colle, detto di Talamonaccio, ovvero, Talamone Vecchio, con la relativa Torre. È a nord est di questo colle che sorgeva l’antico porto di Talamone, il porto risalente al periodo del Bronzo medio, detto “Il porto degli Etruschi”. È da questo porto, situato ai margini meridionali dell’antica laguna costiera – che si estendeva dal mare verso l’interno dei Monti dell’Uccellina – che partivano le navi, etrusche prima e poi romane, cariche di anfore contenenti il vino prodotto nella valle del fiume Albegna.
Telamon, era il porto più a nord nel territorio della importante città etrusca di Vulci. Sul colle omonimo sorgeva il centro fortificato circondato da possenti mura; sono del IV secolo a.C. i resti, che ancora oggi è possibile vedere, di un tempio etrusco, il cosiddetto Tempio di Talamonaccio, di cui è noto il frontone riproducente il Mito Tebano.
Poi giunsero i Romani. Tra le prime terre conquistate dai futuri dominatori ci furono le città etrusche vicine, e anche Vulci, con i suoi porti, divenne dominio di Roma, e il porto divenne il Portus Telamonis. Le guerre tra Romani ed Etruschi durarono molti anni, e interessarono, con alterne vicende, i secoli compresi tra il VII sec. a.C. e il III sec. a.C.
In questo periodo il territorio di Talamone fu interessato da numerosi episodi di rilevanza storica, tra questi, nel 225 a.C., la nota battaglia di Campo Reggio; battaglia, che vide contrapporsi le truppe romane a quelle dei Galli, vinta dai Romani. Altra vicenda importante, e forse definitiva per Talamone, si svolse durante la guerra Sociale che vide contrapporsi i consoli Caio Mario e Lucio Silla. Talamone offrì aiuto a Mario, e Silla, uscito vincitore, per punire chi aveva aiutato il suo nemico, nell’87 a.C. distrusse con il fuoco il Portus Telamonis e il suo abitato. Questo evento decretò la fine di “Talamonaccio” come insediamento e come porto.
Seguì il periodo della Pax Romana, e nacquero sulle sponde del piccolo golfo ville agricole e accampamenti per le truppe, delle quali restano tracce nella zona detta Madonna delle Grazie.
Poi con la decadenza dell’Impero Romano e le invasioni dei Vandali, le lagune costiere iniziarono a impaludarsi e così il Portus Telamonis; anche la via Aurelia venne in molti tratti danneggiata, compresi i ponti sull’Albegna e sull’Osa. Seguirono anni bui.
Nell’anno Mille la Repubblica di Siena divenne uno Stato indipendente, ma per il suo sviluppo necessitava di uno sbocco al mare, e così cominciò a guardare alla Maremma; gli occhi caddero sull’ampia Baia di Talamone, allora proprietà dei monaci Cistercensi di S. Salvatore all’Amiata: e, dopo trattative intense, il 10 settembre del 1303 furono acquistati, per 900 fiorini d’oro, il porto e la rocca di Talamone. Nel 1305 iniziarono i lavori per la ristrutturazione delle mura, per lo scavo del porto, per il riattamento della Rocca Aldobrandesca e per la costruzione di un faro, inizia così la lunga e travagliata vita di Talamone e del suo porto: che ancora oggi accolgono genti e barche.
Talamone nel Medioevo e in epoca moderna
È sera, ho appena acceso la lampada a petrolio, che rischiara le mie notti all’ormeggio e funge da luce da fonda. Sono disteso nel pozzetto della mia barca e, cullato dal leggero rollio, osservo l’ampia e calma distesa d’acqua, il vento spira da terra, leggero, la fiamma della lampada traballa e nella mia mente affiorano pensieri di navi, di marinai e di storie passate. Il paesaggio è cambiato poco da quando i mitici Argonauti calarono su questi fondali le loro ancore, poi fu la volta dei Greci, che cercavano mercati per le loro mercanzie; quindi gli Etruschi che scambiavano il minerale ferroso delle loro miniere elbane e che qui lo fondevano e barattavano; le navi mercantili romane che utilizzavano il Portus Telamonis come porto di arrivo o intermedio, sulle rotte che dal nord Africa passavano per la Sardegna e le isole Toscane. Non vi navigarono i Barbari perché avevano scarsa dimestichezza con la navigazione marittima.
Come già accennato, intorno all’anno 1200, gli Aldobrandeschi costruirono un cassero sulla collina prospicente il porto attuale, allo scopo di rendere sicura la rada di Talamone.
Dopo il 1305 i Senesi resero più comodo e più sicuro l’approdo, costruendo banchine e magazzini per le merci da stoccare; ma la loro abilità in cose di mare era limitata, e non possedettero mai una propria flotta andando, pertanto, incontro a numerosi problemi, soprattutto economici e per sopperire agli alti costi di gestione del porto, misero in vendita, con gara d’appalto, le gabelle derivanti dalla resa delle vicine saline.
I principali fruitori del porto senese furono i Fiorentini, che non possedendo un loro proprio approdo, ed avendo problemi politici con i Pisani, presero in affitto il porto di Talamone.
Gli anni che seguirono furono i più redditizi per il Porto. I magazzini costruiti dai senesi erano sempre colmi di mercanzie, soprattutto di tessuti.
Ma, presto, le gelosie commerciali degli Stati vicini e i continui conflitti tra Guelfi e Ghibellini, provocarono danni all’approdo senese. La mancanza di un’efficace controllo militare del territorio spinse diverse genti a occupare Talamone; poi ripresa dai Senesi. Ma i problemi non finirono: il continuo insabbiamento del porto, la malaria che mieteva vittime tra la già poco numerosa popolazione e il costo di gestione del porto per il mantenimento dei gendarmi portarono pochi vantaggi nella gestione del porto.
Ma nonostante i problemi connessi, il porto di Talamone continuava a essere molto frequentato, anche da importanti personaggi. Il 3 giugno del 1367, Papa Urbano V sostò, di ritorno da Avignone e diretto a Roma, con le sue 23 galee nella rada di Talamone.
La naturale insenatura e il relativo insediamento abitativo facevano gola a molti regnanti e nel 1410 le truppe del re di Napoli, Ladislao di Durazzo, s’impadronirono del porto; l’occupazione durò fino al 1414. La storia si ripeteva, ma proseguiva nel 1526: Andrea Doria si impossessò di Talamone, che poco tempo dopo ritornò nella proprietà di Siena. I danni subiti furono molti e nel 1548 i governanti di Siena incaricarono Pietro Cattaneo di ripristinare le mura danneggiate e ristabilire la sicurezza della Rocca. In questo periodo, denso di avvenimenti, un personaggio nativo di Talamone ma di origine Corsa, certo Bartolomeo Peretti (1504-1544), si prodigò molto per le fortune di Talamone, per la sua sicurezza e per la gloria dello stato di Siena.
Brevemente questi i fatti: il Peretti era un soldato di professione, e aveva combattuto agli ordini del noto Giovanni dei Medici delle Bande Nere; nel 1526 guidò una rivolta di talamonesi contro i Doria, loro oppressori. Di ciò fu grata le Repubblica di Siena che lo nominò capo dei gendarmi di stanza a Talamone. Il Peretti presto si rese conto che se voleva effettivamente difendere la sua città, doveva armarsi di una piccola flotta; lo fece a sue spese grazie ai proventi della guerra da corsa da lui organizzata. Per molti anni protesse calorosamente le coste maremmane e Talamone: ma si spinse oltre andando in corsa verso il Levante, sfidando il noto Corsaro Barbarossa, depredando e danneggiando le proprietà di questi sull’Isola di Mitilene (Lesbo). IL Barbarossa, saputo il fatto, giurò vendetta e di ritorno dalla Francia passò per Talamone e la saccheggiò, profanando anche la tomba del Peretti, morto nel frattempo per calcolosi e sepolto nella chiesa di Talamone. Per colmo di disprezzo ne disperse i resti in mare, così da condannare – secondo la religione islamica – il suo nemico alla dannazione perenne.
Il tempo del dominio di Siena sui territori di Talamone era finito e la piccola città con il suo importante porto erano caduti sotto il dominio spagnolo, e nel 1557 fu ceduto dall’imperatore Carlo V a Cosimo I dei Medici, andando a far parte del nascente Stato dei Presidi. Nel 1802, Talamone e il suo porto entrarono a far parte del Regno d’Etruria; poi, nel 1815, a seguito del trattato di Vienna, divennero parte del Granducato di Toscana. Nel 1860, infine, tutto il territorio entrò a fare parte del Regno d’Italia. Ma anche quest’ultima vicenda doveva vedere coinvolto il porto di Talamone e le sue genti. Una mattina all’alba del 7 maggio 1860, gli abitanti di Talamone più mattinieri scorsero all’orizzonte, verso nord, il fumo delle ciminiere di due vapori e scoprirono subito dopo che si trattava dei due piroscafi, il Piemonte e il Lombardo, che trasportavano i Mille con Garibaldi, da Quarto a Marsala; e lì si fermarono per rifornirsi di armi, acqua e carbone. La sosta fu breve, poco meno di due giorni, ma segnarono la storia di Talamone più di tutti i fatti fin qui, sinteticamente, narrati.
Il vento da terra spira regolare e intenso, è giunto il momento di issare le vele, salpare l’ancora e iniziare la navigazione programmata, che mi porterà durante la notte lungo la costa maremmana e, se tutto va secondo i miei calcoli, domani all’alba sarò nell’altrettanto sicura rada di Porto Azzurro. I sogni si dissolvono e l’azione prende il sopravvento, ma mi accompagnerà durante le ore notturne il pensiero di quanti nei secoli passati hanno solcato come me queste acque.
Bibliografia essenziale:
Talamone – di Astorre Baglioni,
Pitigliano 1984.
Bartolomeo Peretti da Talamone
Ammiraglio del Papa – di Angelo Biondi e Danilo Terramoccia, Pitigliano 1996.
Porti e Approdi della Costa Toscana
di Andrea Camilli e Pamela Gambogi, 2005