Le Isole Pontine sono ciò che rimane di un’antica formazione vulcanica. Tutte belle e ognuna con caratteristiche diverse.

Testo e foto di Lorenzo Cappucci

A volo di gabbiano sulle isole della cosiddetta “Pontinesia”, le piccole, straordinarie isole dell’Arcipelago Pontino, vero e proprio santuario della bellezza, incastonato nel blu del Tirreno, a due passi dalle coste laziali. Davvero non occorre andare lontano per scoprire angoli da sogno. Peccato solo che la voce si sia oramai diffusa e soprattutto si sia diffusa tra i ponzesi, che per questo si fannno pregare: isole care al cuore e al portafogli.

Proprio davanti alla cosiddetta grotta della “Cattedrale”, in un metro d’acqua colore dello smeraldo, un giovane e fiducioso cerniotto, grande appena il palmo della mano, sbuca fuori da uno scoglio e con grande coraggio viene a curiosare intorno alla mia mano: talmente fiducioso da lasciarsi toccare.
Siamo rimasti amici l’intera vacanza, salutandoci affettuosamente ogni giorno, sempre nello stesso punto, con grande e reciproca curiosità.

Ponza

Ponza, la più grande e la più abitata delle isole dell’Arcipelago, è rinomata meta turistica. Per molti è una della più belle isole del Mediterraneo, di certo le sue acque sono straordinarie, così come le sue spiagge e i suoi mille angoli di mare tutti da scoprire. Famosa la baia di Chiaia di Luna, con le alte pareti di roccia bianca verticali sul mare, collegata al paese da un lungo tunnel scavato dagli antichi romani, ancor oggi l’unico accesso pedonale alla spiaggia.

Ai primi tepori della dolce stagione, Ponza si colora del giallo delle ginestre e i colori della natura si aggiungono a quelli delle case in tinte pastello. Già avamposto romano, Ponza fu adibita a colonia penale dai Borboni, che solo dopo la metà del ‘700 iniziarono una politica urbanistica sotto Re Ferdinando IV. Il disegno e la realizzazione del porto, la cui passeggiata è il simbolo della rada, è opera degli ingegneri Wenspeare e Carpi, che lavoravano alla corte dei Borbone.

 

Ma pochi borghi sanno essere incantevoli e affascinanti come la passeggiata sul mare dell’abitato di Ponza, affacciato sulla rada del porto.

Il rosso della banchina disegnata da Antonio Winspeare e realizzata da Francesco Carpi, due degli urbanisti che intorno al 1768 prosperavano alla corte di Ferdinando IV di Borbone, Re di Napoli, le case color pastello, delicate e immutabili in un paesaggio che sembra non poter cambiare mai.

A Ponza hai la sensazione che anche i rumori dell’isola siano sempre gli stessi; suoni che rimandano e richiamano alla bellezza del luogo proprio come il canto delle sirene: le voci dei barcaroli, il suono dei traghetti.
E i profumi. L’odore del mare, prepotente; quello della terra e delle sue essenze selvatiche.
Già gli antichi romani, da buoni intenditori quali erano, l’avevano scelta come avamposto difensivo; e Ponzio Pilato l’aveva eletta a propria residenza, se non è vero che vi era stato confinato.

Dall’alto Ponza assomiglia a una mezzaluna adagiata sul mare, una virgola bianca nel mare blu come l’inchiostro.
Per vederla non è necessario l’elicottero, che pure è l’ultimo vanto dei vacanzieri di rango, ma basta avere la voglia di arrampicarsi sulla cima più alta dell’isola, il Monte Guardia: una passeggiata a quota 280 metri che apre un panorama straordinario, con l’isola ai piedi, l’Arcipelago Pontino a portata di mano.
Per un paio di stagioni l’intervento della magistratura che ha messo sotto sequestro i carissimi, nel senso di costosi, e malsicuri pontili, nel senso del vento di levante che costringe a scappare, che riempivano la rada di Ponza, ha in parte restituito all’isola una parvenza del suo antico fascino, costringendo i diportisti di tutte le taglie e di tutte le vocazioni a riprendere la via dell’ancoraggio in rada, senza la comodità di un facile attracco per scendere a terra.
Se da una parte questo ha fatto la gioia di chi ha amato e ama Ponza per le sue bellezze e non per la sua a volte insostenibile “movida” (infernale baraonda), dall’altra ha fortemente ridotto l’indotto economico del diporto, che in anni passati aveva visto pascolare sui pontili della rada interi greggi di vere, grandi e grasse vacche, con prezzi all’ormeggio fuori da ogni realtà. Tutto però si aggiusta.

Palmarola

Eccola Palmarola, la più bella e selvaggia delle isole Pontine, santuario della natura a neppure cento chilometri da Roma.
Talmente luogo d’incanto che pian piano, da scoglio della solitudine, appendice di quegli abitanti della vicina Ponza che da sempre l’hanno eletta loro buon ritiro, rifugio dalla “pazza folla” della loro “convulsa” isola, la Regione Lazio si era convinta a farne un autentico santuario del mare, un luogo protetto con una legge ancor più speciale di quelle che regolano i parchi marini.
Il perché è presto detto: anche in quest’isoletta deserta e meravigliosa, battuta estate e inverno dal mare del largo, aperta a tutti i venti, appaiono ogni anno sempre più insistenti e inequivocabili i segni di una piccola ma costante colonizzazione: una cementificazione silenziosa che ha di fatto già trasformato la bella rada detta del “francese”, in un piccolo borghetto di case bianche, ben visibile dal cielo e dal mare. Difendiamola, allora, indignamoci, perché altri nuovi muri e tetti innalzati per la miseria del benessere di un paio di settimane d’agosto per poche persone, non possono in nessun caso valere il patrimonio di natura di tutti, l’inestimabile bene comune.

Palmarola dista soltanto sei miglia di mare dalla sempre più frequentatissima Ponza, meta obbligata del turismo “à la page”, che d’estate la trasforma in una rumorosa passerella di motoscafi, minigonne, abbronzature e creme, ritrovo della mondanità più ostentata.

L’isola di Palmarola dista 100 chilometri da Roma e si trova al centro del Tirreno a circa 30 miglia nautiche dalla punta del Circeo. è disabitata, con l’esclusione di una piccola porzione dei mesi estivi, quando anche lì il turismo ha la meglio. Da sempre ha rappresentato un’appendice della vicina Ponza, da cui dista appena sei miglia, e considerata dai ponzesi un ritiro dalla pazza folla dell’isola, che non conta neppure 3.000 anime. Tipiche le grotte scavate nel tufo, un tempo rifugio di cacciatori e pescatori ponzesi, oggi ad uso e consumo dei turisti.

Palmarola è la più selvaggia tra le grandi isole dell’Arcipelago Pontino, che comprende gli isolotti di Gavi, Zannone e Santo Stefano, disabitati, e le isole di Ponza e Ventotene. Palmarola è un vero santuario della natura che un progetto della Regione Lazio vorrebbe trasformare in un luogo assolutamente protetto, per difenderla dagli scempi e dall’abusivismo edilizio.

Ventotene

Verso sud è Ventotene, più piccola e più inaccessibile di Ponza, con le pareti a picco sul mare e con il nome che racconta senza misteri quali intemperie vi possano spirare. Come Ponza, Ventotene è celebre per le sue lenticchie, la coltivazione più tipica delle isole; e anche qui il suo abitato è un presepe affacciato sul mare, una fitta serie di case color pastello che fanno da cornice all’antico porto romano, un gioiello architettonico interamente scavato nel tufo, un vero ventre di vacca ancor oggi perfettamente funzionale al diporto nautico e anche questo, come per Ponza, caro come i gioielli di Bulgari e Cartier. La vita di Ventotene è tutta qui, intorno al porto e nella sua bella piazza cittadina, con gli storni che squittiscono tra i rami degli alberi e l’atmosfera rilassata e senza pretese che ricorda, chissà perché, certe piazze siciliane in primavera.

Proprio di fronte è l’isolotto di Santo Stefano, disabitato e sede di un antico confino che ha visto tra gli altri Gramsci, Pertini e Spinelli quali prigionieri. Nacque qui il “Manifesto di Ventotene”, la visione liberale di un’Europa unita, il sogno di Altiero Spinelli, oggi divenuto realtà.
Ma questa è davvero un’altra storia.